Il Forte di Pozzacchio dopo la guerra



Fu radiato dal Demanio Militare italiano il 12-08-1927, con Regio Decreto n.1882 pubblicato sulla "Gazzetta Ufficiale" nº243, del 20.09.1927, non prima però di essere spogliato di tutte le parti metalliche, che furono vendute all'Opera Nazionale per il Mezzogiorno d'Italia.
Successivamente il Forte fu venduto a privati (Era stato valutato 4.300 lire), mentre la strada militare d'accesso fu venduta al comune di Trambileno.
Finita la guerra l'intera opera fortificata si avviò verso un inesorabile declino dovuto a due fattori principali: l'azione di recupero e di asporto di tutte le parti metalliche ed infine, ma non da meno, l'azione del tempo.
In tutto il Forte oggi non vi è più la minima traccia di armature di sostegno in ferro nella parte scavata nella roccia e soprattutto la mancanza degli architravi delle caserme è causa diretta dei crolli che hanno portato gli edifici allo stato odierno.
Le postazioni nella roccia, sebbene private dei fondamentali sostegni metallici, hanno discretamente resistito fino ad oggi all'azione depauperante dell'uomo e del clima, a testimonianza della solidità della costruzione.
Nel dopoguerra e fino agli anni '50 la zona del Forte era frequentata soprattutto dai bambini che, mentre portavano al pascolo le capre, sempre con grande paura per non essere sorpresi dall'allora guardaboschi, la usavano un po'come "zona di gioco". I bambini più grandicelli si cimentavano nella raccolta di ferro e pezzi di ordigni: per loro era quasi un gioco, ma in realtà rischiavano esattamente come la maggior parte dei "recuperanti", che sulle montagne trovarono spesso la mutilazione o la morte.
Con la "Legge della montagna" (1952) più nota come Legge "Fanfani" nell'area del Forte vennero piantati nuovi alberi di Pino Strobo, e rimessi in efficienza i muri di sostegno lungo la strada di accesso.
L'intera area del Forte Pozzacchio era quindi proprietà privata. Il suo custode/curatore in loco era il famoso "Nildo", con il quale il proprietario aveva un frequente scambio di missive per controllare soprattutto lo stato della struttura fortificata e dei boschi limitrofi e concordare lo sfruttamento di questi ultimi. Grazie al padre francescano Policarpo M.Gottardi e allora parroco di Vanza-Pozzacchio, vennero innalzati un altare e una croce in memoria dei caduti al Forte di Pozzacchio. L'Arcivescovo di Trento, Carlo de Ferrari, celebrò la S.Messa d'inaugurazione del monumento e benedisse la Croce il 22 luglio 1956. Ancor oggi, ai piedi di quella croce, viene celebrata la S.Messa in occasione dell'annuale commemorazione.
L'iscrizione che è incisa su una lapide in marmo apposta sul retro dell'altare, riporta testualmente questo:

QUESTA CROCE

OMAGGIO DELLA SCAC

INNALZATA AD OPERA DEI GENIERI DELLA

2ª COMPAGNIA TELEFERISTI DEL 1º REGGIMENTO

GENIO DI TRENTO NEL 40º ANNIVERSARIO

DELLA TRAGICA NOTTE 28-29 GIUGNO 1916

RICORDA

AL SUFFRAGIO DEI VIVI I NUMEROSI CADUTI

NEI PRESSI QUESTA FORTIFICAZIONE

-

INAUGURATA LÍ 22 LUGLIO 1956

PER IL MODESTO INTERESSAMENTO DEL

PADRE CURATO DI VANZA-POZZACCHIO

CHE TUTTI BENEDICE E RINGRAZIA


Da molto tempo, sulla sommità del Forte è posizionato un punto trigonometrico fondamentale che serve per il calcolo delle coordinate catastali della Regione Trentino-Alto Adige.
Nel 1976 nasce in Pozzacchio "L'Associazione Culturale Ricreativa "Il Forte" Pozzacchio": tra i suoi obiettivi principali vi è la promozione del Forte stesso ed il costante tramando del ricordo alle nuove generazioni dei tragici fatti d'arme ivi avvenuti.
Nel fossato di gola, nel 1982 è stata apposta una lapide con incisi i versi della poesia "Ossi di seppia" a ricordo delle paure, della monotonia, del disagio della vita di trincea con le pattuglie notturne, le improvvise sparatorie, le interminabili attese: tutte sensazioni vissute in prima persona dallo stesso autore, il poeta Eugenio Montale, che in questi luoghi aveva combattuto nelle file del Regio Esercito quale Sottotenente del 158º Fanteria della Brigata Liguria.
Da "Ossi di seppia" di Eugenio Montale, 1925:

Valmorbia, discorrevano il tuo fondo

fioriti nuvoli di piante agli àsoli.

Nasceva in noi, volti dal cieco caso,

oblio del mondo.

Tacevano gli spari, nel grembo solitario

non dava suono che il Leno roco.

Sbocciava un razzo su lo stelo, fioco

lacrimava nell'aria.

Le notti chiare erano tutte un'alba

e portavano volpi alla mia grotta.

Valmorbia, un nome — e ora nella scialba

memoria, terra dove non annotta.


Il poeta Sergio Solmi, ufficiale di fanteria durante la prima guerra mondiale, ricevette da Eugenio Montale nello stesso periodo, una cartolina spedita dalla Vallarsa con questa quartina:

Desiderio di stringer vecchie mani,

di rispecchiarsi in visi un tempo noti,

sotto il grondare del gelato azzurro

che la campana dello shrapnel scuote.


Ora sono previsti piani e progetti di recupero dell'opera e di valorizzazione dell'intera area che la ospita, che forse consentiranno un più facile accesso da parte di chiunque lo desideri, permettendo così una più comprensibile lettura dei segni e delle testimonianze, che numerosi si trovano ancora direttamente sul posto.


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