Inizio della guerra al "Forte di Pozzacchio"
Come si ricorderà, l'entrata in guerra dell'Impero Austroungarico è conseguenza della dichiarazione di guerra dell'Austria-Ungheria alla Serbia (28 luglio 1914). Il 3 agosto l'Italia si dichiarò neutrale, rifiutandosi così di entrare in guerra a fianco di Austria e Germania con cui era legata dal trattato della Triplice Alleanza (che però non aveva carattere offensivo).
La mobilitazione del 02.08.1914, con la quale i civili profughi vennero trasferiti in Austria per la maggior parte a Oberndorf e Mitterndorf , mentre tutti gli abili per le armi furono inviati soprattutto sul fronte russo in Galizia, non portò, contrariamente agli altri cantieri militari, alla sospensione dei lavori, ma invece ad una intensificazione durata per tutto il 1914 e 1915, visto che si riteneva ormai imminente l'apertura di un nuovo fronte di guerra lungo il confine verso l'Italia.
Il 4 maggio 1915 il governo italiano comunicò agli imperi centrali la sua rescissione dalla Triplice Alleanza. Italia e Austria diventavano potenzialmente nemiche
I Comandi militari austro-ungarici elaborarono pertanto un piano di armamento provvisorio del Forte, che prevedeva il posizionamento di 5 cannoni, 23 mitragliatrici ed una guarnigione di 5 ufficiali e 206 uomini. I lavori per cercare di finire urgentemente la struttura procedettero a rilento per carenza di manodopera, e di fatto erano ancora in corso allo scoppio del conflitto con l'Italia.
Il 24 maggio 1915 l'Italia dichiarò ufficialmente guerra all'Austria, ma non alla Germania, contro cui entrò in guerra solo nell'agosto del 1916. L'Italia assumeva così il ruolo dell'aggressore in un momento che riteneva essere favorevole per una facile vittoria. L'Austria-Ungheria si sentì assalita a tradimento in una vasta zona priva di truppe e fu costretta ad una disperata difesa sui monti.
Di tutte le strutture difensive austro-ungariche progettate in questa zona, solo il Forte di Pozzacchio si trovava in fase di avanzata realizzazione, sebbene fosse ancora privo degli armamenti previsti: al momento dello scoppio della guerra, solo le avancorazze delle cupole girevoli si trovavano depositate nelle vicinanze del cantiere.
Nella sua concezione il Forte, proprio per essere stato uno degli ultimi ad essere costruito, poteva beneficiare di tutti i più validi accorgimenti già adottati negli altri forti del sistema difensivo, nonché dell'esperienza acquisita nella loro costruzione. Pertanto, qui tali concetti vennero riapplicati e migliorati, diventando così testimonianza dello stadio più evoluto dell'ingegneria militare austro-ungarica.
Il Forte si articolava su 2 livelli di gallerie interamente scavate nella roccia con perforatori pneumatici. Queste gallerie in dialetto vengono chiamate "stoi", proprio perché derivanti dalla parola tedesca "stollen", gallerie appunto.
Era stato previsto anche un terzo livello interrato, di cui si vede solo l'inizio, perché i lavori furono interrotti dagli eventi. Quest'ultimo livello, non si sa se sia storia o leggenda, doveva servire col tempo ad unire l'opera fortificata situata nel fondo valle sul greto del torrente Leno, esattamente nell'ideale punto di congiunzione tra il Forte di Pozzacchio e il Forte di Matassone. Un'altra sezione del forte è considerata la galleria con la perfettamente conservata "scala dei 51 gradini".
I dormitori erano ricavati in baracche all'interno delle caverne. All'interno inoltre si trovavano il magazzino dei viveri, il deposito delle munizioni, l'officina, i locali per gli accumulatori, l'impianto elettrogeno e la centrale telefonica.
Allo scoppio della guerra risultavano efficienti le gallerie, i ricoveri, la centrale elettrica, l'acquedotto, gli impianti di aerazione e quello idraulico. Ancora oggi si possono trovare tracce evidenti di queste dotazioni impiantistiche.
Come già accennato, l'armamento e le avancorazze delle grosse cupole da installare sulla sommità del Forte, furono solo portate a piè d'opera.
All'interno della struttura vi sono due gallerie in verticale, una delle quali doveva servire certamente da accesso alle previste cupole corazzate in sommità del Forte, tramite delle scalette. Come in altri Forti austro-ungarici del Trentino meridionale, anche qui erano previsti degli spazi per le bombole di ossigeno, per evitare il rischio di asfissia nelle cupole con gli obici.
Le varie sezioni e livelli della fortificazione potevano essere chiusi e venire gestiti come compartimenti separati, per difesa nel caso il nemico fosse riuscito a penetrare nel Forte.
Nei due piani principali, quello a livello del fossato di gola e in quello sottostante, il susseguirsi di gallerie descrive un arco di cerchio di quasi 180° partendo da est (dorsale Spil-Corno-Pasubio), guardando poi verso sud (verso la Vallarsa e l'allora confine dell'Impero del "Pian delle Fugazze") ed infine verso ovest (Forte Matassone e il soprastante Monte Zugna). Lungo questo sviluppo di ogni piano, numerose sono le postazioni predisposte per l'alloggiamento di armamenti o di potenti riflettori.
I criteri di progettazione del Forte si riscontrano omogenei e ben presenti in tutta la struttura e rimandano ad alcune peculiarità tipiche delle costruzioni fortificate austro-ungariche dell'epoca. Si può notare ad esempio come in corrispondenza di ogni apertura verso l'esterno fosse previsto un luogo di presidio costituito da una postazione di guardia e da pesanti portoni in ferro da chiudere in caso di assedio. In particolare, in prossimità di queste zone, l'andamento delle gallerie diventa sempre particolarmente sinuoso, per un motivo apparentemente inspiegabile ma in realtà attentamente ponderato, quello cioè di diminuire l'effetto disastroso degli spostamenti d'aria dovuti agli scoppi. Lo stesso concetto è ancor oggi perfettamente visibile nelle trincee di alta montagna, sul Pasubio.
Un'altra peculiarità della costruzione è presente nelle grandi gallerie, enormi stanzoni ove in tempo di guerra veniva alloggiata la truppa o depositati i materiali. In questi spazi, c'era un pavimento in legno poggiato su dei piccoli plinti in calcestruzzo che lo tenevano sollevato da terra; sul soffitto una copertura "a tetto" interna in lamiera provvedeva, grazie a una serie di accorgimenti, a raccogliere lo stillicidio d'acqua e a convogliarlo in caverne realizzate appositamente per fungere da enormi serbatoi. Proprio questo aspetto si può ritenere predominante all'interno della struttura: la marcata necessità di approvvigionare il Forte di acqua potabile, necessaria per il sostentamento della truppa e anche per il raffreddamento di alcuni armamenti; proprio per questo, canalette, pozzi, serbatoi si trovano praticamente ovunque.
È cosa nota che il sovrastante monte Pasubio sia molto avaro di acqua, ed ogni sua goccia da poter raccogliere diveniva preziosa. Anche nella parte esterna del Forte venne costruito un insieme di vasche di raccolta alimentate direttamente da un sistema di tubazioni, una sorta di acquedotto, che vi portava l'acqua fin dalle alte quote della piccola valletta che precede la seconda galleria.
Dal punta di vista puramente costruttivo si denota un già attento impiego del ferro nell'armatura di sostegno del cemento armato.
La gettata di copertura in calcestruzzo non era ancor stata eseguita, mentre era completata quella del cofano di gola (Kehl–Koffer). Il Forte doveva essere armato con 2 obici da 100mm. Mod. 14 in cupole corazzate girevoli in acciaio "Skoda", aventi forma ogivale, del diametro ognuna di 2,50ml. e dello spessore di 250mm., fuse in acciaio al nichelio. Inoltre dovevano essere installati 6 cannoni da 75mm., 10 mitragliatrici da 8mm., 1 riflettore da 25cm., 5 riflettori da 35cm. e 2 riflettori da 90cm.posizionati in caverne protette da spessi scudi metallici.
Secondo lo schema adottato nelle altre Fortezze, probabilmente i riflettori previsti al livello terra erano posizionati su una piccola rotaia, che permetteva di spostarli all'interno del Forte per proteggerli e i cui accessi potevano essere chiusi da un portone blindato. La guarnigione era stimata in circa 200 uomini.
Le cupole corazzate girevoli e gli obici da 10cm. previsti, proprio per la situazione drammaticamente precipitata, non arrivarono mai al Forte, ma giunsero solo fino alla stazione ferroviaria di Calliano da dove, sempre via treno, furono riportate indietro, e trovarono una nuova collocazione all'interno del sistema difensivo della Fortezza di Trento. Quindi questa era la situazione del Forte nella primavera del 1915.
In quel periodo, le forze dell'Impero Austro-ungarico erano impegnate per la maggior parte sul fronte russo, mentre il fronte italiano era di fatto sguarnito. Il comando militare del Regno d'Italia tuttavia non valutò correttamente la situazione favorevole e non riuscì quindi a sfruttarla a proprio vantaggio mediante un deciso e veloce sfondamento delle linee verso nord.
L'arretramento della prima linea deciso dal comando militare austro ungarico di Innsbruck sancì l'abbandono della postazione fortificata il (03.06.1915), delle opere militari realizzate sulla sommità del vicino monte Zugna (1864m. s.l.m.), e dell'insieme di gallerie che costituivano il Forte di Matassone (852m. s.l.m.).
Le truppe italiane durante i primi giorni del conflitto, sul finire del maggio 1915, con gli Alpini del 6° Reggimento, Battaglione "Vicenza", occuparono la Vallarsa e il monte Pasubio, mentre le compagnie 56ª e 57ª del "Verona" con elementi del "Vicenza" e una batteria da montagna prendevano possesso del M. Zugna.
Il 3 giugno 1915 gli italiani prendevano possesso dei forti di Matassone e di Pozzacchio, praticamente già abbandonati dagli austro-ungarici, senza impegnarsi in cruente battaglie per la loro conquista.
Precisamente, fu l'80º reggimento di fanteria della Brigata "Roma" che occupò il Forte di Pozzacchio rimanendovi fino ad ottobre.
Il 04.06.1915, la linea si spostò sul Monte Altissimo - Vignola - Serravalle - Zugna Torta - Matassone - Pozzacchio - Monte Spil.
Le successive avanzate dell'80° Fanteria del novembre dicembre portarono la prima linea fra Sich e la confluenza dei due Leni, fra S.Nicolò (Valle di Terragnolo) e il ponte nei pressi dell'eremo di S.Colombano in collegamento con il 114° della Brigata Mantova, che a sua volta, era riuscita a portare la linea fino allo Zuech-Castel Dante-Lizzana-Mori nella Vallagarina. A questo punto il Forte di Pozzacchio non si trovava più sulla linea del fronte, che si era spostata a nord-ovest, ma nella retrovia e assunse così per gli italiani un'importanza strategica secondaria. La sua conquista da parte italiana, portò comunque a dei lievi cambiamenti dovuti all'inversione della direzione di fuoco: da difensivo verso sud per l'Impero Austro-ungarico ad offensivo verso nord per il Regno d'Italia. In questo periodo quindi i genieri italiani realizzarono solo opere leggere, quali postazioni di mitragliatrice e trincee di cui ancor oggi si vede un'importante residuo (trincea "NUNCIBELLO"), ma non armarono in modo conveniente il Forte.
Gli alti comandi italiani non ritennero infatti opportuno costituire una seconda linea robustamente attrezzata, giudicando la prima in grado di contenere le eventuali azioni locali dei reparti austriaci ed escludendo come assai improbabile una grande azione offensiva austriaca sul fronte trentino, ed in particolare in questo settore.
Pertanto l'organizzazione difensiva italiana sulle dorsali montane e nelle vallate confluenti a Rovereto, così come sugli altipiani, non era in grado di sopportare la bufera che le due Armate austro-ungariche, l'11ª e la 3ª, dai loro settori, stavano preparando sotto la guida accorta del Capo di Stato Maggiore Feldmaresciallo Franz Conrad von Hoetzendorf.